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Plinio il Giovane

Gaio Cecilio Secondo, detto Plinio il Giovane (61–113).

Gaio Cecilio Secondo nacque a Como nel 61 DC e, alla morte del padre fu adottato da Plinio, suo zio materno, di cui assunse il nome. A Roma studiò retorica sotto la guida dì Quintiliano. Plinio incominciò presto la carriera forense, in cui ottenne notevoli successi, e seguì il cursus honorum, nel 100, insieme allo storico Tacito, che era suo amico, sostenne l'accusa contro Mario Prisco, proconsole d'Asia, verso la fine di quello stesso anno fu nominato Consul suffectus (supplente di un console morto). Il passaggio dal principato di Domiziano a quelli di Nerva e Traiano non pregiudicò la carriera forense e politica di Plinio. Traiano lo nominò nel 111 suo legato in Bitinia. Morì nel 113. Le notizie sulla vita e l'attività di Plinio il Giovane provengono per la maggior parte dal suo stesso epistolario.

Opere

Il Panegyricus è la versione ampliata del discorso di ringraziamento a Traiano, tenuto in senato in occasione della nomina a console, nel 100 DC, il titolo forse non è originale: il termine indicava originariamente i discorsi tenuti nelle solennità panelleniche; col I secolo DC passò ad indicare l'encomio di un monarca.

Una raccolta di Epistulae in dieci libri; i primi nove contengono lettere composte fra il 97 e il 108, e pubblicate dallo stesso Plinio, il decimo contiene lettere private e ufficiali di Plinio a Traiano, e le risposte dell'imperatore. Le lettere raccolte nel libro decimo appartengono per lo più, al periodo in cui Plinio fu governatore in Bitinia ed forse sono state pubblicate dopo la sua morte, aggiungendole come decimo libro alla sua raccolta.

Nulla resta delle sue numerose opere poetiche e orazioni, che si trovano frequentemente menzionate nelle Epistulae.

Il Panegyricus è pervenuto come il primo di una raccolta di più tardi panegirici di vari imperatori, quasi fosse l'inaugurazione di un genere letterario. Plinio enumera ed esalta le virtù di Traiano, che ha reintrodotto la libertà di parola e di pensiero, auspicando, dopo la fosca tirannide di Domiziano, aspramente denigrata (ma, sotto Domiziano, Plinio aveva percorso l'intero cursus honorum eccetto il consolato), un periodo di rinnovata collaborazione fra l'imperatore e il senato. Plinio si sforza di delineare per i principi futuri un modello di comportamento fondato sulla continuazione della concordia fra imperatore e ceto aristocratico, e sulla stretta intesa politica e integrazione culturale fra quest'ultimo e il ceto equestre, dal quale in gran parte provenivano i quadri della burocrazia e dell'amministrazione.

Nonostante il tono fondamentalmente ottimistico, il Panegyricus lascia trapelare la preoccupazione che principi malvagi possano nuovamente salire al potere, e che il senato possa tornare ad essere oppresso come sotto Domiziano. Attraverso gli elogi e le formule di cortesia, Plinio sembra rivendicare una funzione "pedagogica" nei confronti del principe. Esiste una certa affinità, anche dal punto di vista stilistico, del Panegyricus con la Pro Marcello di Cicerone (l'oratore vorrebbe suggerire a Cesare un programma di riforma dello Stato che rispetti le forme repubblicane e le prerogative del senato). Nonostante la funzione pedagogica rivendicata da Plinio, i reali rapporti fra lui e Traiano emergono chiaramente dall'epistolario intercorso fra i due al tempo del governatorato in Bitinia, conservato nel libro X delle Epistulae.

Plinio si comporta come un funzionario scrupoloso e leale, ma anche alquanto indeciso, che informa Traiano di tutti i problemi che si presentano: opere pubbliche, problemi fiscali e di ordine pubblico, fra cui i processi contro i Cristiani, e che dall'imperatore attende consigli e direttive. Dalle risposte di Traiano trapela talora un lieve senso di fastidio per i continui quesiti che Plinio gli sottopone anche su questioni di secondaria importanza. È rimasto famoso l'atteggiamento di sobria tolleranza assunto dall'imperatore a proposito della questione dei Cristiani: in mancanza di una legislazione in materia, dà istruzione a Plinio di non procedere se non in caso di denunzie non anonime e di sospendere comunque il procedimento se uno, sacrificando agli dèi del paganesimo, testimonia di non essere cristiano o di non esserlo più. È evidente la preoccupazione di non punire reati contro la religione, liberandosi contemporaneamente delle responsabilità nei confronti dei delatori e dell'opinione pubblica. I primi nove libri delle Epistulae furono pubblicati a cura dello stesso Plinio, forse per gruppi. Nella lettera proemiale, Plinio afferma di non aver seguito, nel raggruppare le proprie lettere, alcun criterio preciso, in particolare di non aver badato alla cronologia. È probabile che l'ordinamento segua soprattutto un criterio di alternanza dì argomenti e motivi, in modo da evitare la monotonia. Le lettere di Plinio sono solitamente dedicate ciascuna a un singolo tema, trattato con eleganza letteraria: è questa una delle differenze più importanti tra questo epistolario, concepito fin dall'inizio per la pubblicazione, e quello ciceroniano, in cui l'urgenza della comunicazione spingeva spesso l'autore ad affastellare gli argomenti più vari, talora con cenni brevissimi e poco chiari per un lettore diverso dal destinatario.

Lo stile dell'epistolario di Plinio cerca l'eleganza, ama le antitesi, ma non ne fa un uso eccessivo, il modello è Cicerone, da cui Plinio desume l'architettura armonica del periodo e gli schemi ritmici ricorrenti, anche se i periodi sono più brevi. Emerge qualche manierismo nell’uso di qualche accorgimento retorico e nella predilezione per il formulario tipico della corrispondenza non concepita per la pubblicazione. Le lettere di Plinio sono una serie di brevi saggi di cronaca sulla vita mondana, intellettuale e civile. L'autore si rivolge ogni volta con estrema cerimoniosità ai suoi interlocutori che intrattiene sulle proprie attività, informandoli sulle proprie preoccupazioni di grande proprietario terriero. Plinio dipinge la campagna con toni di maniera, descrivendola soprattutto come panorama goduto attraverso le finestre delle proprie ville, elogia personaggi diversi, soprattutto letterati poeti viventi o morti da poco, come Marziale. Plinio si rivela un frequentatore assiduo delle sale dove si tenevano recitationes e declamationes, manifestazioni culturali che egli stesso contribuiva ad organizzare e non lesina parole di lode a quasi tutti i versificatori e i conferenzieri che ascolta, ma, soprattutto, Plinio elogia la propria attività poetica, per la quale si cruccia di non riuscire a trovare estimatori sufficientemente idonei e preparati.

Plinio non è preoccupato, come Quintiliano o Tacito, dalla crisi della cultura, avverte solo una certa decadenza nel gusto degli ascoltatori. La letteratura di cui si diletta è essenzialmente frivola, destinata all'intrattenimento. Si tratta, di brani di oratoria declamata e, soprattutto, di nugae poetiche spesso alquanto insipide. Anche i rapporti sociali che affiorano dall'epistolario pliniano appaiono spesso improntati a un formalismo vuoto e cerimonioso, sintomo dell'avanzato impoverimento e banalizzazione della grande tradizione culturale della classe dirigente romana. Nell'epistolario di Plinio compaiono le massime figure di quel tempo, dall'imperatore Traiano a Tacito (a lui è indirizzata la lettera sull'eruzione del Vesuvio) e Svetonio (che Plinio esorta a pubblicare finalmente il De viris illustribus), e gli avvenimenti contemporanei, dai più importanti e tragici, come l'eruzione del Vesuvio fino ai minuti pettegolezzi degli ambienti elevati e colti. Un quadro d'insieme della letteratura nell'età dei Flavi e di Traiano, e il nome di un gran numero di autori si è conservato solo attraverso l'epistolario di Plinio. I toni sempre smorzati, il signorile senso della misura contribuirono al suo successo e lo resero un modello, già presso gli autori antichi. La sua fortuna continuò nel Medioevo e toccò il suo culmine durante il Rinascimento, un'età che apprezzava gli aspetti cortigiani di Plinio.


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